Celebrazione
Eucaristica
presieduta
da
S. E. Rev. ma Mons.
Arturo Aiello
Ammissione agli Ordini Sacri
di Fabrizio, Davide e Romano
Conferimento del Ministero del Lettorato
ad Alfonso, Luigi, Gianluigi, Pasquale e
Pierangelo
III
Domenica di Quaresima/B
Teano, 11 marzo 2012
Chiesa Cattedrale
~
Saluto iniziale
Pur nell’austerità del cammino quaresimale, il Signore ci dona
oasi per riposare, per illuminare i nostri occhi. È già accaduto Domenica
scorsa con il Vangelo della Trasfigurazione e qui, nella terza “tappa”, la
nostra Chiesa Diocesana vive un piccolo ma, nella sua piccolezza, solenne
momento per alcuni nostri seminaristi, alcuni ammessi fra i canditati
all’Ordine Sacro, altri istituiti lettori: sono tappe del cammino, tappe
importanti. Il cammino è fatto di tappe, è fatto di passi, e ogni passo ha la
sua direzione, la sua santità e possibilmente anche il suo amore. Chiediamo
perdono dei nostri peccati, prima di introdurci nei Santi Misteri, sentendo che
il sì di questi nostri giovani in cammino verso il Presbiterato è una
provocazione per tutti. Per i nostri momenti di ribellione chiediamo umilmente
perdono.
LETTURE
Esodo 20, 1-17
1 Corinzi 1, 22-25
Giovanni 2, 13-25
Omelia
Carissimi seminaristi, presbiteri, diaconi, fratelli e sorelle
nella grazia e nella gioia del Battesimo,
c’è una lezione, prima di
entrare nel santuario della Parola proclamata, insita nei gesti semplici ma,
per chi li pone, importanti, che i nostri seminaristi vivono in questa
celebrazione. Per tre di loro - Fabrizio, Davide e Romano - c’è il Rito di
Ammissione, il primo sì ufficiale all’interno di una celebrazione davanti al
Vescovo, rispetto ad una chiamata già in parte verificata e che, d’ora in poi,
viene guardata con particolare attenzione da chi è chiamato, vissuta con più
dedizione. Poi i cinque - grazie a Dio ancora tali, perché si parte in molti ma
non sempre si arriva tutti - del 4° anno (li dico sempre in ordine di comparsa
nella storia), Alfonso, Luigi, Gianluigi, Pasquale e Pierangelo - è così anche
l’ordine degli alberi che il Vescovo pianta nel giardino dell’Episcopio,
speriamo che alla fine ci sia una foresta - che ricevono il Ministero del
Lettorato. Sono passi.
Qual è la lezione, difficile soprattutto per i giovani oggi? La
lezione è che non si può avere tutto e subito, che c’è un cammino da compiere,
che ci sono dei passi, che c’è un pellegrinaggio, e un pellegrinaggio è fatto
di milioni di passi ed ogni passo ha la sua importanza e ce ne sono alcuni che
rivestono un’importanza particolarmente solenne (il primo passo, l’ultimo
passo, il passo nel mezzo del cammino…). La lezione
che fa difficoltà ad entrare nel cuore dei nostri giovani è quella della
pazienza, della perseveranza, del saper attendere. Ecco, oggi i nostri giovani
non sanno attendere e la Chiesa, nella sua maternità e nel suo essere maestra,
nel cammino verso il Presbiterato ha progettato delle pause, delle tappe, delle
celebrazioni che solennizzano, scandiscono, rendono importante un momento, una
tappa, in modo tale che si possa dire “Adesso, d’ora in poi”, in modo tale che
si possa raggiungere questa attenzione, questa sfumatura. Si entra in seminario
o all’anno previo anche per la gente, e i seminaristi devono fare una gran
fatica per spiegare loro che ci vuole tempo: tra sei anni, tra sette anni, tra
cinque anni, tra quattro anni, tra tre anni, perché anche voi adulti, nella
smania un po’ giovanilistica del tutto e subito, pensate che uno abbia deciso e
che questa decisione basti da sola, e che non ci sia bisogno di studio, di
verifica, di attenzione, di esercizi, di palestra, di un allenamento per
giungere al momento dell’Ordinazione Diaconale e Presbiterale, a loro volta
momenti di partenza per il cammino della ministerialità
piena. Pensate un po’, tanto per far salire la vostra attenzione, alla fatica –
ammesso che ancora riescano a tematizzarlo come esigenza – che i fidanzati
fanno nel pensarsi verso il Matrimonio senza vivere da sposati. È sotto gli
occhi di tutti, e molti genitori sono anche rassegnati, purtroppo: Sono cambiati i tempi! No, non sono
cambiati i tempi e, attenti, neanche per un motivo d’ordine morale, quanto per
questa propedeuticità, cioè per questa preparazione progressiva. In un
fidanzamento ci sono tante celebrazioni che tagliano in volata, come si dice
per certi traguardi del Giro d’Italia, senza fermarsi, senza dire: sono
arrivato qui. È importante, da fidanzati, anche il primo bacio, la prima carezza… Starete pensando: il Vescovo è ancora un
romantico! Ma chi fra voi è sposato, sa quanto l’attenzione a questi momenti,
anche nel Matrimonio, sia salutare per la coppia, più che fare l’amore. Voi
dite: Ma adesso hai cambiato file e
stai facendo il corso prematrimoniale? No, è lo stesso principio: camminare,
come dice l’autore del Piccolo Principe, adagio adagio
verso la fontana, senza correre, senza precipitarsi sulla mensa quando è ora di
pranzo, ma guardare il piatto, guardare il modo con cui è preparata la mensa,
sentire il profumo di quello che la cuoca ha preparato, e poi guardarsi negli
occhi, parlare prima di precipitarsi sulla pietanza in una maniera poco umana.
Vedete come sia importante - e qui la Chiesa è ancora maestra - recuperare le
tappe, recuperare le stazioni (le statio). Nelle antiche Quaresime c’erano le statio
quaresimali: significa che la comunità - pensate a Teano, dove ci sono tante
chiese - si dava appuntamento in una chiesa e poi, di Domenica in Domenica,
passava processionalmente da una chiesa all’altra, e quelle erano le stazioni
quaresimali da cui poi sono nate le nostre domeniche di Quaresima. A noi sembra
di star fermi, invece quelli camminavano. Vorremmo che venisse subito Pasqua e
invece ci sono 40 giorni, c’è un digiuno da fare, ci sono dei fioretti, ci sono
degli esercizi, c’è la Via Crucis. Tutto questo celebra l’avvicinarsi
progressivo ad un evento di grazia, ad una tappa. Così bisogna leggere per i
primi tre l’iscrizione, che è il primo atto, il primo gesto in questo cammino,
l’iscrizione ufficiale. Ma noi già lo
sappiamo! No, bisogna fare l’iscrizione
adagio adagio. Certo, non è la cosa più
importante, ma allena, apre il cuore, scandisce un tempo, ferma l’attenzione su
alcuni contenuti, e così anche per i lettori. Per gli ammessi è una sorta di
fidanzamento ufficiale: anche questo è andato in disuso, le mamme sanno tutto,
già da prima, fanno finta di non sapere… Le ragazze e
i ragazzi entrano a casa vostra, a pranzo o a cena, e invece ci vuole il tempo
in cui noi non lo sappiamo, non dobbiamo saperlo. Poi c’è il momento del
fidanzamento ufficiale: l’ammissione è dare ufficialità ad un amore segreto.
Prima non lo sapevamo, lo sapeva il Vescovo, lo sapevano i formatori: Ma questo
Matrimonio s’ha da fare, non s’ha da fare? i due si trovano, si coniugano bene?
E allora viene il momento del fidanzamento ufficiale.
Il Lettorato è il momento in cui la Parola diventa, davanti al
candidato al Presbiterato, come “lampada ai miei passi”, dice il Salmo 118, che
i lettori dovrebbero amare, perché è il salmo della Parola, perché è fatto di
tantissimi versetti, è il salmo più lungo dove si canta la Parola: Di ogni cosa perfetta ho visto il limite, ma
la tua legge non ha confini… La tua Parola è più
preziosa di mille pezzi d’oro e d’argento… Come potrà
un giovane tenere pura la sua via? Custodendo la tua Parola…
È tutta una litania sulla Parola. Ne canta la bellezza, la gioia di ascoltarla,
di mangiarla, di guardarla, come si guarda una donna, desiderandola. Ecco, è
l’anno, il momento, la scansione della Parola, che ovviamente hanno già
ascoltato in precedenza, ma d’ora in poi dovranno ascoltare con un cuore ancora
più aperto, più teso, una Parola da mangiare: questo è il linguaggio profetico
che troviamo più volte, nel Libro dell’Apocalisse, dove la Parola è dolce, è
amara, perché è così l’amore, croce e delizia. La Parola ti accarezza e ti
schiaffeggia; la Parola è dolce, ma poi nello stomaco - dice il profeta - l’ho
sentita amara, perché mi giudica, perché la parola scotta. Voi pensate che
venire qui a leggere sia la cosa più facile di questo mondo, in realtà noi
annunciatori della Parola, presbiteri, diaconi, vescovi, abbiamo le labbra
bruciate, e non c’è burro di cacao che tenga; bruciáti
dalla Parola perché questa Parola è fuoco per noi e poi per gli altri. Nella
misura in cui mi lascio bruciare, questa Parola poi diventa bella e trasfigura
la mia vita, il mio volto, i miei occhi, e riesco anche a tradurla per gli
altri. La Parola non si prende con le molle, la Parola che brucia bisogna
prenderla con le mani nude. Questo lo diciamo a voi cinque, che state per
essere istituiti lettori. D’altra parte abbiamo cantato nel versetto del salmo
responsoriale: Tu solo, Signore, hai
parole di vita eterna, cioè tra tante parole ce n’è una che resta, ce n’è
una che sfida i secoli e questa parola non è solo una parola scritta o udita, è
una persona: questa Parola è Gesù.
Oggi Gesù lo vediamo in un gesto inconsueto. E vengo alla Parola
di oggi che è affidata a voi. Sarà un caso, sarà una provvidenza che il vostro
Lettorato sia coinciso con questa pagina di Vangelo: Gesù sempre così dolce,
sempre così mansueto, così duttile rispetto alle esigenze, invece è violento,
oggi è violento. Entra nel Tempio e comincia a fare il pazzo rispetto a certe
cose. Il tempio non era un mercato: si trattava, come sapete e come i
seminaristi sanno bene per i loro studi approfonditi, di bancarelle che
facevano parte del rito, della ritualità, bisognava cambiare la moneta pagana
nella moneta sacra, poi bisognava comprare quello che occorreva…
Quindi questo mercatino era sacro, ma era un mercato, era a servizio del
tempio, ma Gesù vi si ribella, perché lo zelo per la casa del Padre lo divora,
dice l’evangelista, citando un’espressione dell’Antico Testamento. Cosa
significa questo per noi? Significa attenzione a che aspetti profani, che non
hanno nulla a che vedere con la dimensione della fede, possano entrare e poi
prendere piede, radicarsi nelle nostre celebrazioni, nella nostra vita di fede,
nelle nostre chiese, nei nostri cuori. Gesù viene a purificare.
Avete fatto della casa del
Padre mio una spelonca di ladri! Una parola durissima che ovviamente è rivolta a me, a voi, a
noi, è rivolta a questi giovani che domani avranno nelle loro mani la Chiesa:
potranno custodirla, potranno violentarla. Ci sono tante violenze che Dio
subisce, che la liturgia subisce, che la vita di fede subisce da parte di
persone che entrano con i loro cavalli. Ricordo - e non so se questo ricordo
corrisponda a verità - che nella chiesa di Nazareth c’è una porta bassa per
evitare che i crociati potessero entrare con i loro cavalli nella basilica, un
gesto violento, volgare. C’è una volgarità che se non stiamo attenti entra
nelle nostre celebrazioni, entra nella vita della Chiesa e normalmente tutto
quello che è legato al denaro è volgare, tutto quello che in qualche maniera
più o meno direttamente ha affinità col vendere e col comprare, fa calare di
tono una vita, anche una vita consacrata, anche una comunità, anche una Chiesa,
anche una Cattedrale, anche una parrocchia. Certamente non sto qui a fare
virate spiritualistiche, abbiamo bisogno anche degli aiuti materiali, ma a
volte questi elementi diventano degli idoli. Abbiamo ascoltato nella Prima
Lettura le dieci parole, i Dieci Comandamenti che adesso neanche più i bambini
conoscono. Le dieci parole, i Dieci Comandamenti sono delle indicazioni, dei
paletti per evitare che il popolo smetta di adorare l’unico Dio e cominci ad
adorare delle bestie, delle cose, delle statue fatte con le proprie mani. Le
dieci parole sono un cammino di etica - adesso dico una parola a cui i
seminaristi dovrebbero essere allenati per i propri studi - e un cammino di
“estetica”. L’etica è estetica, nel senso che queste dieci parole edificano la
Chiesa bella e, nella Chiesa, ogni credente. Tre riguardano i doveri e quindi i
diritti di Dio, i doveri verso Dio, e sette riguardano i doveri verso gli
altri. A che servono queste parole? Servono a rendere una vita giusta (etica),
bella (estetica), perché l’etica è estetica, perché una vita santa è anche
affascinante, perché ciò che ci libera dagli idoli e ci porta al Dio vivo,
vero, unico da adorare - Ascolta,
Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo (Deuteronomio 6)
- ci conduce anche ad una bellezza dell’esistere, perché il peccato, cari
fratelli e sorelle, è brutto e noi diventiamo brutti, ci imbruttiamo con il male… Il bene invece ci fa belli più di quanto non riescano
a fare le estetiste. L’etica è estetica e l’estetica contiene una sua etica,
cioè ha le sue leggi, ha il suo rigore, ha il suo nitore. Contro tutto questo
Gesù si scaglia. Allora cosa significa per voi? Significa che dovete vigilare
molto sul vostro cuore. Ci sono qui molti seminaristi, alcuni in cotta e
talare, altri sparsi e nascosti in assemblea, e questo discorso è rivolto a
loro in particolare, perché pensate erroneamente che basti un santo proposito per
andare avanti una vita intera, ma non è così. C’è bisogno di perseveranza e la
perseveranza richiede allenamento, la perseveranza è ripetere continuamente un
gesto buono, anche quando non ne abbiamo voglia, è la possibilità di purificare
il tempio del nostro corpo, del nostro cuore, continuamente, perché vi entrano
i mercanti, vi entrano i crociati a cavallo e sporcano il pavimento di marmo e
strappano i lini dell’altare, e allora ogni giorno, continuamente, bisogna
stare a pulire, a ripulire, a ridare ordine a questa casa che altrimenti
diventa una “spelonca di ladri”. Una vocazione si può anche perdere, si può
anche disperdere, si può anche svilire, e spesso noi assistiamo a persone che
partono con i migliori auspici, con le esigenze più radicali e poi, piano piano, si appisolano e non si accorgono che entrano animali
selvatici, cani randagi nel loro cuore, non fosse altro la polvere che
continuamente cade dall’alto e copre e toglie luce ai colori. Come vedete, è un
invito alla vigilanza, è un invito a passare a setaccio i nostri pensieri, è un
invito a guardare i nostri desideri, è un invito a riconsacrare, poi a
consacrare e poi ancora a riconsacrare questo tempio, perché Gesù, oggi
violento, si è accorto che dopo decenni questo tempio è diventato un mercato:
si vende, si compra, e tutto sotto un alone di benedizione, ma c’è del marcio.
Papa Benedetto, in uno dei discorsi prima della sua elezione, ebbe tanto
coraggio nel dire che c’era del fango nella Chiesa - parte sta venendo fuori ma
ce n’è ancora tanto - nelle nostre Chiese, ma le Chiese sono fatte da persone:
siamo noi, noi con i nostri cuori infangati, con i nostri cuori irresoluti, con
i nostri pensieri che passano e che sporcano. Magari di questa mia predica
vorrei che ricordaste questa definizione: l’etica è estetica. Siate migliori, e
lo dico a voi cinque, a voi tre, agli altri seminaristi della nostra diocesi,
agli altri seminaristi presenti: siate continuamente tesi fino allo spasimo -
perché questo implica dolore - nella tensione e nell’attenzione a essere
migliori - al magis,
dice Sant’Ignazio - e allo scegliere quello che vale di più per la maggior
gloria, ma che costa anche di più. Attenti ai risparmi, attenti ai saldi
spirituali, attenti al minimo indispensabile. Il vostro Vescovo, poveramente ma
con forza, celebrando questa cadenza della missione del Lettorato, vi invita a
dare il massimo. Gesù si aspetta questo da voi e solo così domani sarete degli
ottimi preti, perché gli ottimi preti sono quelli non rassegnati e che ogni
mattina si alzano e dicono: Ricomincio daccapo.
***
Il testo, tratto
direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.