Preghiera-Giovani

guidata da

S. E. Rev. ma Mons. Arturo Aiello

 

“Dono del tempo. Tempo del dono”

 

Teano, 19 gennaio 2012

 

Chiesa Cattedrale

~

Canto iniziale: Custodiscimi

 

Nel nome del Padre…

 

Dedicheremo anche la Preghiera di stasera - e dico “anche” perché lo abbiamo già fatto all’inizio dell’anno scolastico - al tempo. Un po’ perché il “1° gennaio”, perché gennaio, perché il freddo, perché la ripresa scolastica e universitaria è difficile, un po’ perché la partenza di Elisabetta ci ha messo, drammaticamente e proprio nelle primissime ore di questo mese, a contatto con la preziosità del tempo, ho pensato di tornare con voi su questo tema.

Abbiamo iniziato con una richiesta: Custodiscimi, perché mi disperdo, perché ho bisogno di un abbraccio. Ne abbiamo bisogno tutti, anche quello che voi cercate nell’abbraccio del ragazzo, della ragazza, è un’esigenza d’essere custoditi, cioè che qualcuno faccia da muro di cinta alla nostra povera vita che altrimenti si va sfaldando, perde la sua connotazione, la sua armonia. Ovviamente Colui che ci può abbracciare veramente, saldamente e fedelmente, è il Gesù a cui ci siamo rivolti (mia gioia, Gesù). Ripetiamo il ritornello, affidando a Lui le nostre vite, chiedendoGli di rimettere insieme anche i cocci di esperienze pasticciate, piene di errori. Lui riesce anche ad impastare gli errori, perché possano tornare a una finalità di bene.

 

Rit. Custodiscimi…

 

Dal Vangelo di Marco (3, 1-6)

 

1 In quel tempo Gesù entrò di nuovo nella sinagoga. C'era un uomo che aveva una mano inaridita, 2 e lo osservavano per vedere se lo guariva in giorno di sabato per poi accusarlo. 3 Egli disse all'uomo che aveva la mano inaridita: «Mettiti nel mezzo!». 4 Poi domandò loro: «È lecito in giorno di sabato fare il bene o il male, salvare una vita o toglierla?». 5 Ma essi tacevano. E guardandoli tutt'intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori, disse a quell'uomo: «Stendi la mano!». La stese e la sua mano fu risanata. 6 E i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire.

 

Questa pagina di Vangelo l’abbiamo letta ieri a Messa. Può darsi che qualcuno di voi abbia il vizio di andare anche alle “Messe proibite”, quelle dei giorni feriali, e quindi si sarà imbattuto nel brano dell’uomo dalla mano morta (anche se, da noi, “mano morta” significa altre cose). Una mano morta è una mano rinsecchita, una mano che non serve, che non ha vita, che non si articola. In particolare noi meridionali, quando parliamo, gesticoliamo anche, perché con le mani si parla. Quest’uomo sono io, sei tu, noi che siamo venuti alla Preghiera con una mano cascante, una mano senza vita, una mano che è un arto inerte, rigido, freddo, morto. Chiediamo d’essere guariti, d’essere guariti nella mano, perché se qualche volta avete fatto l’esperienza dell’ingessatura a un braccio, sapete quante limitazioni ci sono quando non abbiamo l’uso di una mano, di un braccio. Ho pensato di intessere su questo racconto dell’uomo guarito che tende la mano. La nuova traduzione dice: Tendi la mano (la traduzione precedente diceva: Apri la mano). Evidentemente è una mano non solo rinsecchita, ma anche il braccio. Noi, in napoletano, avevamo questa espressione: offeso. Non so se anche qui si usa. Un “braccio offeso”: si può offendere un braccio? Un braccio offeso è un braccio che fa i capricci, che non risponde, ha il broncio, e allora si ribella al resto del corpo. Questo è un braccio offeso e quindi quest’uomo, per quanto si dia da fare con l’altro braccio, non riuscirà mai… Se avete provato a vestirvi, a svestirvi, a lavarvi quando eravate ingessati - ha fatto questa esperienza anche il vostro Vescovo - vi rendete conto di quanto sia preziosa una mano.

Sulla mano si condensa anche la nostra storia: il tempo. La mano è anche un orologio, perché sulla mano si vede il passare del tempo. Fate mente locale alla mano di un anziano: vostro nonno, una persona anziana che conoscete, che visitate, ha una mano dove gli anni si contano, si vedono, molto segnata da solchi. Quando eravamo bambini facevamo dei tragitti con il ditino attraverso i solchi delle mani dei nostri genitori: ci sembrava una prateria, ci sembravano delle mani enormi, mentre la mano di un bambino è una mano liscia, non c’è il tempo, non è passato tempo su quella mano. Quindi, come il volto, anche la mano, ma in modo tutto speciale, dice del tempo che passa. E come passa?, perché ci sono mani contente  e mani non offese stavolta, ma infelici per come il tempo è scorso tra le dita, come sabbia che si disperda. Allora aver cominciato questo anno (siamo ancora alle prime battute del 2012), ci porta a riflettere su questo orologio che è la mia mano su cui si condensa la mia storia, quello che ho fatto, quello che non ho fatto, quello che mi sono lasciato sfuggire di mano, ma anche quello che ho conquistato e ripensare di nuovo al tempo.

Ho pensato di farvi questa piccola sintesi, che spero non sia scolastica, con l’esempio del trenino.

 

Ci sono tre possibilità per un trenino.

C’è il trenino dei bambini. Voi l’avrete avuto certamente, perché appartenete a un tempo in cui avete avuto un telecomando per un trenino, che andava sui binari e ovviamente faceva sempre lo stesso percorso: girava e dopo un po’ vi sarete annoiati, com’è giusto che sia, perché questo trenino, gira e rigira, attraversa sempre le stesse stazioni, lo stesso passaggio a livello, ma - ricordo di aver visto qualcuno che addirittura giocava con un trenino in una sala intera - ci si annoia. L’immagine del trenino che gira sempre sullo stesso percorso è la prima percezione del tempo che l’uomo ha avuto: circolare. Chi fra voi abbia studiato queste cose in una maniera più approfondita lo sa: la prima idea che ha avuto del tempo è che il tempo fosse una ruota. Infatti si dice anche la “ruota del tempo”: gira e rigira torna sempre a ripercorrere le stesse strade, le cose si ripetono (lo dice anche il Qoèlet: Quello che è stato si rifarà). Quindi è una visione circolare che poi è tornata anche in strutturazioni più articolate (Gianbattista Vico, ma non voglio richiamarvi ricordi terribili degli esami universitari). Il trenino dei bambini è la percezione del tempo infantile: il tempo gira e rigira.

Ad un certo punto questo cerchio è stato rotto - voi non ci crederete - dal Cristianesimo. Adesso, al di là dell’aspetto della fede, la visione cristiana del tempo ha rotto il cerchio e ha dato - per la verità ce n’erano state anche in precedenza degli anticipi - l’idea di un tempo lineare.

Il tempo lineare è il treno vero e proprio: un treno, una Freccia Rossa, parte da Napoli e arriva a Milano, ha una stazione di partenza e, in brevissimo tempo, vi porta a Milano e potete, in poche ore, salire e scendere la penisola. Questa è la visione lineare del tempo. Perché l’ha data il Cristianesimo? Perché il Cristianesimo, anche per quelli che non credono, ha computato il tempo e lo ha diviso in due grandi tronconi, prima e dopo. 2012, ma rispetto a che cosa? I più esperti fra voi sapranno che sono stati fatti degli errori, ma adesso, andando non troppo per il sottile, sono 2012 anni dopo la venuta di Cristo. Quindi l’evento cristiano ha dato la dimensione lineare, che significa progressiva, che significa anche intrisa di speranza, all’insegna dell’avvenire, perché il nostro tempo non è soltanto dopo Cristo, ma è anche un tempo d’attesa, perché noi - spero non l’abbiate dimenticato, che l’abbiate chiaro - andiamo verso la Sua seconda venuta. Il tempo della Chiesa, che è il tempo che stiamo vivendo da 2000 anni a questa parte, è il tempo che va dalla prima venuta alla venuta conclusiva. Allora il treno delle Ferrovie dello Stato ti dice la dimensione lineare del tempo.

Purtroppo, anche questa dimensione è stata messa in crisi, perché voi giovani non vi ritrovate né nel tempo circolare, che ovviamente è infantile e noioso, ma fate difficoltà a proiettarvi, a guardare avanti, a dire: Tra 10 anni, quando mi sposerò… Vi fa problema e allora la vostra è una percezione del tempo puntuale. Dunque, tempo circolare, tempo lineare (visione cristiana), tempo puntuale. Come la esprimo con un’immagine sempre legata ai treni il tempo puntuale? Salgo su un meraviglioso vagone: c’è il bar, c’è anche il letto, una bella compagnia, la musica filodiffusa, ci sono dei bei quadri, ma non si muove. Voi dite: Ma che fa? L’importante è che sia un bel treno, un vagone di prima classe, un vagone da dirigenti! Ed io potrei dirvi: Ma non ti fa problema che questo vagone non venga da nessuna parte e non vada da nessuna parte? E voi dite: No, l’importante è stare lì, con gli amici, giocare a carte… Ci sono tutti questi conforts! Questa è la dimensione del tempo puntuale: senza passato e senza futuro. Questo treno viene da qualche parte? No, sta qui fermo. Va da qualche parte? Speriamo di no. Stiamo qui fermi, in questo meraviglioso treno, in questo meraviglioso vagone, dove vengono serviti piatti cucinati da chef di fama internazionale. Adesso voi sorriderete mentre io vi faccio questo esempio, ma è la percezione del tempo che la gente ha oggi. E domani? Tra un anno? No, per carità! Lasciatemi qui, nel mio bel vagone che non si muove!

 

Ci troviamo tra due concezioni del tempo sbagliate, la prima e la terza, quella degli uomini primitivi o dei greci, e quella vostra, o meglio, nostra, cioè quella che respiriamo. Dobbiamo invece recuperare la dimensione di un tempo lineare dove sono sempre io ma mi evolvo e sulla mia mano ci sono i segni di stagioni, di tempi, di conquiste, di errori, ma io vado trasformandomi e vado verso una meta, non solo, ma vengo anche da un posto. I due termini - “vengono da”, “vado a” -  sono i termini che oggi fanno più problema, perché la gente dice: Ma stiamo così bene in questo vagone! Mettiamo un vagone a Piazza Duomo! Mettiamo un vagone a casa tua! Tu ci sali con le valigie, in modo da cambiarti, perché altro è giocare a carte, altro è andare nel bar (sempre dentro il vagone), altro è guardare il finestrino, anche se non ci si muove, su cui vengono proiettate una serie di immagini, di film, e allora col telecomando faccio finta d’essere sul treno che attraversava la Russia e che era un treno epico… Ma è tutto finto.

 

Allora, trenino che gira e rigira, treno che va, treno meraviglioso ma fermo: dirvi cosa scegliete è banale, ma piuttosto chiediamo al Signore di entrare nella dimensione di un tempo che ci fa crescere, di un tempo che ha bisogno di memoria, di un tempo che ha bisogno di progettualità, di un tempo che sarà difficile quanto volete, ma ha bisogno di giovani che guardano il futuro con speranza, anche in questo tempo, altrimenti entriamo tutti nel bellissimo, meraviglioso vagone fuori di ogni binario, parcheggiato da qualche parte e vi trascorreremo l’intera esistenza. Vi va? Vi andrebbe una vacanza in questa maniera? Una vita vissuta così? Chiediamo al nostro cantautore di turno di dirci qualcosa sul tempo.

 

C’è tempo (Ivano Fossati)

 

Dicono che c'è un tempo per seminare
e uno che hai voglia ad aspettare
un tempo sognato che viene di notte
e un altro di giorno teso
come un lino a sventolare.

C'è un tempo negato e uno segreto
un tempo distante che è roba degli altri
un momento che era meglio partire
e quella volta che noi due era meglio parlarci.

C'è un tempo perfetto per fare silenzio
guardare il passaggio del sole d'estate
e saper raccontare ai nostri bambini quando
è l'ora muta delle fate.

C'è un giorno che ci siamo perduti
come smarrire un anello in un prato
e c'era tutto un programma futuro
che non abbiamo avverato.

È tempo che sfugge, niente paura
che prima o poi ci riprende
perché c'è tempo, c'è tempo c'è tempo, c'è tempo
per questo mare infinito di gente.

Dio, è proprio tanto che piove
e da un anno non torno
da mezz'ora sono qui arruffato
dentro una sala d'aspetto
di un tram che non viene
non essere gelosa di me
della mia vita
non essere gelosa di me
non essere mai gelosa di me.

C'è un tempo d'aspetto come dicevo
qualcosa di buono che verrà
un attimo fotografato, dipinto, segnato
e quello dopo perduto via
senza nemmeno voler sapere come sarebbe stata
la sua fotografia.

C'è un tempo bellissimo tutto sudato
una stagione ribelle
l'istante in cui scocca l'unica freccia
che arriva alla volta celeste
e trafigge le stelle
è un giorno che tutta la gente
si tende la mano
è il medesimo istante per tutti
che sarà benedetto, io credo
da molto lontano
è il tempo che è finalmente
o quando ci si capisce
un tempo in cui mi vedrai
accanto a te nuovamente
mano alla mano
che buffi saremo
se non ci avranno nemmeno
avvisato.

Dicono che c'è un tempo per seminare
e uno più lungo per aspettare
io dico che c'era un tempo sognato
che bisognava sognare.

 

Tento con voi una rilettura di questo testo già utilizzato in qualche altra occasione.

Dicono che c’è un tempo per seminare e un altro per aspettare: questa è la percezione normale, generale del tempo. Per noi adesso o per il contadino (ammesso che ce ne siano ancora) è un tempo per aspettare, il tempo in cui si aspetta primavera, in cui si guardano le gemme degli alberi, in cui si contano i minuti conquistati alla notte. Noi, già adesso, cominciamo a percepire qualcosa nell’aria: la mezzora che abbiamo conquistato alla luce è una grande conquista, ci fa bene (questo tramonto che arriva alle 17:15 e non più alle 16:30 - non so se voi lo notate - mette già brio, porta già aria di primavera). Quindi un tempo per seminare (l’autunno) e un tempo per aspettare. L’inverno è un tempo d’attesa, ma un’attesa inoperosa o un’attesa fervorosa?

Dicono che ci sia un tempo per sognare, che è il tempo notturno, e un tempo per agire come un lino teso a sventolare, come una bandiera. Scopriremo che questo non è vero, che si può sognare anche di giorno, si può sognare anche qui, stasera, in Cattedrale, noi insieme, tendendo la mano, come ci ha detto Gesù (Stendi la mano).

C’è un tempo negato e uno segreto. Il tempo negato è quello che non ci è dato - ci sono dei tempi negati a tutti - e ci sarà un tempo negato a conclusione della nostra vita. Il tempo segreto è il tempo del cuore. Magari per qualcuno di voi oggi sarà il “mesiversario”, l’anniversario di un incontro, e allora questo è un tempo segreto, è il mio tempo, è la mia scansione del tempo fatta di eventi, fatta di incontri. Un tempo distante che è roba di altri, come “La finestra di fronte” (film che semplicemente ho orecchiato). “La vita degli altri” (un romanzo), un tempo che sembra lontano, freddo, non appartenerci. Un momento che era meglio partire e quella volta che noi due era meglio parlarci, e qui ci sono due tempi: il tempo della fuga e il tempo dell’incontro. Un momento che era meglio partire: se voi non imparate quest’arte di partire, cioè di allontanarvi, di chiudere una discussione che sta diventando incandescente e da cui non trarremo nulla di buono, una telefonata che sta salendo di tonalità - Va bene, ok, ci vediamo domani… Adesso non è proprio il caso… - una fuga telefonica, una fuga da una situazione imbarazzante - un momento che era meglio partire - se non imparate quest’arte, voi finirete con l’essere delle bombe all’interno delle coppie, delle famiglie. Bisogna saper partire. Il treno che ho utilizzato per parlarvi di queste tre concezioni del tempo è anche uno strumento di liberazione. Una volta si diceva: Certe crisi le risolve il treno. L’ho sentito quand’ero ragazzo, dal mio padre spirituale; devo confessarvi che, da adolescente, sentire questa frase mi sembrò eccessiva, violenta; oggi la sottoscriverei puntualmente. Quindi un tempo per scappare santamente e, invece, un tempo per fermarci: è il tempo in cui noi due era meglio parlarci perché poi, quando giriamo le spalle ad una storia, una situazione, ad un incontro, magari le parole il giorno dopo non vengono più alla stessa maniera. E poi c’è il tempo dell’incanto: chiamo così questa terza strofa.

 

C'è un tempo perfetto per fare silenzio
guardare il passaggio del sole d'estate
e saper raccontare ai nostri bambini quando
è l'ora muta delle fate.

 

È il tempo dell’incanto, un tempo fuori del tempo, come spero sia stato per voi il tempo natalizio. Un tempo d’incanto, un tempo dove dici: Ma che ora è? È un’altra ora, diversa dall’orologio: è l’ora di un bell’annuncio, è l’ora della contemplazione, è l’ora in cui mi nasce la vita dentro… È il tempo in cui vediamo il sole che passa, l’ombra che avanza, è il tempo che dedichiamo ai bambini raccontando loro le fiabe.

Poi c’è un tempo perduto. C’è un giorno che ci siamo perduti come smarrire l’anello in un prato e c’era tutto un programma futuro che non abbiamo avverato, cioè se in quel momento ci fossimo compresi, se quello screzio non fosse stato ingigantito, se quella parola non fosse stata pronunciata - ma la vita non è fatta di “se…” - avremmo vissuto un tempo che invece abbiamo abortito in quel momento, con tutte le possibili esplicitazioni che ci sarebbero state, ma che non abbiamo avverato. Questo è il tempo perduto. Voi sapete che un autore del Novecento - e non solo lui, ma un’intera corrente - si è mossa alla ricerca del tempo perduto, ma il tempo perduto è un tempo perduto definitivamente. Potrei dire questo con l’esclamativo o con l’interrogativo: è un tempo perduto definitivamente? Ivano Fossati, nella strofa più colma di speranza, dice di no, perché è il tempo che ti “riprende”.

 

È tempo che sfugge, niente paura
che prima o poi ci riprende
perché c'è tempo, c'è tempo c'è tempo, c'è tempo
per questo mare infinito di gente.

 

Sembra una prospettiva un po’ da fiaba. Allora abbiamo tutto il tempo possibile? Allora non c’è la morte? (Questo lo dirò alla fine). Questo tempo che fugge, e tu dici che è un tempo perduto, è un tempo che poi ti riprende, perché Gesù passa tante volte, passa e ripassa, bussa e ribussa, torna e ritorna a cercare di stendere la tua mano, a tenderla, e la mano, quando la si tende, la si tende sempre nei confronti di un altro, di altri. Anche all’atto in cui dovessi tenderla per chiedere l’elemosina, ho un interlocutore o lo cerco. È proprio della morte - ma questo ve lo dirò dopo - la strofa che segue, quella meno comprensibile.

 

Dio, è proprio tanto che piove
e da un anno non torno
da mezz'ora sono qui arruffato
dentro una sala d'aspetto
di un tram che non viene
non essere gelosa di me
della mia vita
non essere gelosa di me


A chi lo dice Ivano Fossati?

 

C’è tempo (Ivano Fossati)

 

***

Non essere gelosa di me
della mia vita
non essere gelosa di me
non essere mai gelosa di me

 

Non so come voi leggiate questo verso. Io lo sento rivolto alla morte, come se l’autore dicesse alla morte: Non ti ingelosire del fatto che io viva, perché all’atto in cui la morte si ingelosisce - almeno nella visione di Ivano Fossati - mi prende. Vecchioni dice che la vita non si innamora mai due volte della stessa persona, e intende dire la stessa cosa, cioè questa istantaneità.

C’è un tempo cosciente e un tempo incosciente, qualcosa di buono che verrà un attimo fotografato, dipinto, segnato e quello dopo perduto via, cioè c’è un tempo a colori e un tempo in bianco e nero. Nel prossimo incontro ci vedremo alla vigilia dell’Ordinazione Presbiterale di Francesco: per lui sarà questo tempo segnato, delineato, particolareggiato, atteso, e sono i tempi della massima coscienza d’essere uomini, d’essere qui, d’esserci.

Ovviamente dovrei fare in modo d’aumentare i giorni pieni, i giorni coscienti, ben delineati, ben fotografati, e ridurre quanto più è possibile questi giorni in bianco e nero o addirittura questi giorni nebbiosi, senza contorni. Poi c’è il tempo della comunione, la strofa più bella.

 

C'è un tempo bellissimo tutto sudato
una stagione ribelle
l'istante in cui scocca l'unica freccia
che arriva alla volta celeste
e trafigge le stelle
è un giorno che tutta la gente
si tende la mano
è il medesimo istante per tutti
che sarà benedetto, io credo
da molto lontano
è il tempo che è finalmente.

 

Sottolineate questo, se avete una penna, perché è il centro di questa composizione: è il tempo che è finalmente. È come se tutto l’altro tempo fosse stato un tempo in “preparazione di”, un tempo d’avvento di questo tempo che è il tempo in cui tendo la mano e stringo quella di un altro, di un'altra, e mi scopro parte di un tutto, nel senso dell’universo, ma ancora di più nel senso della comunità umana e spero anche di quella ecclesiale. Vengo alla Preghiera-Giovani per tendere la mano e vivere questo momento che è il tempo della comunione. Un tempo bellissimo, tutto sudato, ma voi dite: No, qui fa un freddo cane! Eppure è un tempo intenso, per le frasi, per le emozioni… E noi questo tempo dobbiamo conquistarcelo, questo tempo dobbiamo sognare. Se smettete di sognarlo anche voi questo tempo, noi veramente andiamo verso l’inverno senza più primavera, perché è “il tempo che è finalmente”, cioè è il tempo per eccellenza, ma anche mi sembra che questo tempo sia una finestra sull’eternità, cioè questo momento tutto sudato, entusiasmante, dove il cuore mi batte, dove non riesco a spiccicare parola, dove sono presente con tutti i sensi, questo tempo è “il tempo che è finalmente”, cioè in questo istante io percepisco un anticipo di eternità. L’eternità sarà così. Per carità, non la pensate come ad un tempo vuoto, nebbioso, fotocopiato, senza fine! Invece è un tempo all’insegna dell’entusiasmo. All’inizio facevo riferimento all’abbraccio: l’abbraccio è questo, questa sensazione che qualcuno mi protegge, ma questo è l’abbraccio di Dio, è il tempo che è finalmente, in cui ci si capisce, un tempo in cui mi vedrai accanto a te finalmente, mano nella mano, che buffi saremo se non ci avranno nemmeno avvisato. Non so cosa ha inteso scrivere Fossati, ma qui veramente c’è una finestra sull’Eterno. Quando ci incontreremo, voi non saprete che è morto anche il Vescovo, oppure io, che partirò molto prima di voi, non saprò che è morto anche… Ci incontreremo e non ci avranno avvisati e diremo: Ma che ci fai qui, Francesco? Questo incontrarci, che è “il tempo che è finalmente”, verso cui tutti i minuti, anche quelli in bianco in nero, sono stati come una scalata, il tempo che è finalmente. Che buffi saremo se non ci avranno nemmeno avvisato.

 

 

Credo che il tempo sia scaduto per i giovani di Ischia. Grazie per la vostra testimonianza. Voi, se anche venite qui solo a rubarvi una parola, costituite per noi un esempio meraviglioso. Non vi dico di continuare a venire, la cosa può anche finire stasera, ma che un gruppo si muova da un’isola per approdare alla “banchina del porto di Teano”, per noi è un vangelo. Siete meravigliosi, bravissimi… Potete andare, mentre noi continuiamo per questi altri dieci minuti.

 

 

Vorrei dedicare quest’ultima volta in cui ascoltiamo “C’è tempo” ad Elisabetta, perché ovviamente sta nei nostri pensieri, e non solo. Vorrei dedicare a lei questa canzone che avrà ascoltato e che adesso sta sentendo insieme con noi, per ripensare a quello che abbiamo vissuto e stiamo vivendo con lei.

 

C’è tempo (Ivano Fossati)

***

 

Dedichiamo a te quest’ultimo ascolto di “C’è tempo”, Elisabetta (ho messo una lampada su quella sedia, lì dove insieme con Marco, quasi sempre in piedi seguivi la Preghiera e per me era una sorta di sicurezza vedervi lì), perché puoi darmi una mano a far capire ai tuoi coetanei, a questi giovani con i quali hai pregato e per i quali stai pregando in questo momento, che il tempo è un dono (il dono del tempo), ma è anche il tempo del dono, perché c’è tempo, c’è tempo… Sembra una bestemmia questa frase, questo passaggio della canzone, ora che la tua partenza è ancora così acerba, eppure tu puoi dirlo più di noi che c’è tempo, cioè un tempo senza tempo nel quale sei entrata e la cui porta è il nostro tempo, Elisabetta.

Tu lo sai, ma i nostri giovani no, loro sono quelli del vagone, del vagone ben arredato, non riescono a guardare avanti. I nostri giovani, Elisabetta, non sognano più, neanche di notte, allora dà loro una spinta. Fa’ loro comprendere come si può vivere poco ma intensamente, che non è la lunghezza di una vita che dice dell’importanza di una vita. Elisabetta, questa sera, e proprio quasi a quest’ora, quasi tra 20 minuti, è l’anniversario della partenza della mia mamma. Quindi anche questo motivo mi ha portato sul tema del tempo. Ovviamente la tua partenza è di gran lunga più drammatica, e mi riferisco a noi, non per te adesso. Chiedi a Gesù di sciogliere le mani dei nostri giovani, rattrappite, offese, nascoste, mani in tasca, mani chiuse a pugno, tanto più in questi giorni, in questi tempi e nei tempi in cui gli economisti profilano, raccontano, cioè tempi dove torneremo ad essere lupi per i nostri amici. C’era un tempo sognato che bisognava sognare e da questo punto di vista la tua vita è stata compiuta, una vita da sogno, anche quando soffrivi, anche quando venivi alla Preghiera in bandana perché in chemio, anche quando seguivi dall’alto della finestra dell’Episcopio perché avevi la mascherina. Un tempo sognato che bisognava sognare. Ecco, io chiedo a te di tradurre quello che io non riesco a dire ai tuoi coetanei, questa voglia di sognare il tempo che bisogna sognare, che è il tempo della giovinezza, ma che è anche ogni tempo. Allora Elisabetta, adesso che puoi suggerire al tuo Vescovo, che puoi entrare nel cuore, che sai tutto di noi (per Dio e per tutti i defunti noi siamo nudi), conosci di noi ogni risvolto e anche il tempo segreto per te non è più segreto, aiutaci a sognare questo tempo, aiutaci a sognare questo tempo difficile, aiutaci a sognare questo tempo che “bisogna sognare”, altrimenti questa mano diventa sempre più rattrappita e non riusciamo a tenderla, non riusciamo a fare comunione, non riusciamo a stabilire relazioni e non riusciamo a fare Chiesa.

Ecco, stasera il tuo Vescovo ti chiede questo dono. Lo chiede per sé, ma lo chiede alla Chiesa a cui tu ancora appartieni, perché - Elisabetta, tu lo sai, ma i tuoi coetanei non ancora - una Chiesa è fatta di persone che camminano nella storia, ma è fatta ancora di santi, è fatta di quelli che sono già in quel tempo che è finalmente. Il tuo è un tempo che è finalmente, il nostro è un tempo da sognare, è un tempo da investire, è un tempo da arredare, dicevo in qualche Preghiera fa. Aiutaci, e anche quando, a partire dalla prossima Preghiera non metterò la lampada al tuo posto per non essere patetico, tu che stai con noi nella comunione dei santi, spingici a sogni sovversivi, non ai sogni che preferiamo, che ci fanno addormentare, magari “sogni sonniferi”, aiutaci invece a sognare ad occhi aperti, a sognare eccitati, a sognare ciò che ci sembra impossibile e che oggi possiamo realizzare con l’aiuto di Dio e anche attraverso la tua intercessione.

Ci mettiamo in piedi e questa mano adesso tendiamola a chi ci sta accanto, perché è un tempo con la mano tesa. Diciamo insieme: Padre nostro…

 

Benedizione del Vescovo

 

Canto finale: Gesù

 

***

 

Il testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.